L’Ecc.mo Presidente del Tribunale Ordinario di Roma ha inoltrato al Sig. Presidente della sezione GIP, ai Sigg.ri Presidenti delle Corti di Assise, ai Sigg.ri Presidenti delle sezioni civili penali e lavoro e ai Sigg. Giudici la nota trasmessa da S.N.Ing. a seguito delle segnalazioni di alcuni colleghi che svolgono attività di C.T.U., invitandoli ad esaminare se le problematiche rappresentate con tale missiva possano costituire argomento di esame nelle riunioni ex art. 47 quater ordinamento giudiziario nelle rispettive sezioni.
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Di seguito si riporta un’estratto della nota di S.N.Ing..
Ecc.mo Sig. Presidente del Tribunale Ordinario di Roma,
p.c. Sig. Presidente dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma
preliminarmente desidero ringraziarLa ancora una volta del gradito incontro del 16/12/2022 presso il Suo ufficio con il Presidente dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma.
Come concordato, Le rappresento per iscritto alcune istanze dei nostri iscritti, che svolgono attività di C.T.U., al fine di migliorare la cooperazione tra Corpo Giudicante e l’esperto tecnico.
In primis i nostri iscritti segnalano con piacere che alcuni Giudici del settore civile vincolano l’inizio delle operazioni peritali al versamento dell’acconto spese al C.T.U..
Sarebbe opportuno che questa procedura divenisse prassi comune nel settore civile; poiché, purtroppo, si verifica non di rado che le parti non versino al CTU neanche l’acconto disposto dal Magistrato, ciò tutelerebbe il tecnico da rischio di non predisporre attività professionale poi non remunerata nonché di non recuperare eventuali spese necessarie allo svolgimento del mandato anticipate dal tecnico stesso.
Sarebbe poi auspicabile a parere di chi scrive che divenisse prassi la liquidazione dei compensi del C.T.U. sempre in solido tra le parti, alla luce dell’insegnamento della Giurisprudenza nomofilattica che si trova in: Cassazione Civile, sezione I, 8 luglio 1996, n. 6199, paragrafo 2.2. della motivazione: “Come è saldo principio, nell’ambito del processo civile, la consulenza tecnica d’ufficio è strutturata, essenzialmente, quale ausilio fornito dal giudice da un suo collaboratore esterno all’ordine giudiziario, piuttosto che quale mezzo di prova in senso proprio e, così, costituisce un atto necessario del processo che l’ausiliare compie nell’interesse generale superiore della giustizia e, correlativamente, nell’interesse comune delle parti. Da tal intrinseca natura dell’istituto, ed in particolare, dal dato che la prestazione dell’ausiliare è effettuata in funzione di un interesse comune delle parti del giudizio nel quale è stata resa, interesse che, cosi, assorbe e trascende quello proprio e particolare delle singole parti, discende necessariamente, innanzitutto, che il regime sull’onere delle spese sostenute dal consulente tecnico per l’espletamento dell’incarico e sull’obbligo del relativo pagamento, deve prescindere sia alla disciplina sul riparto dell’onere delle spese tra le parti che dal regolamento finale delle spese tra le stesse, che deve avvenire sulla base del principio della soccombenza; ma, soprattutto, che l’obbligazione nei confronti del consulente per il soddisfacimento del suo credito per il compenso deve gravare su tutte le parti del giudizio, ed in solido tra loro. Ne discende, altresì, che la sussistenza della obbligazione solidale così individuata prescinde necessariamente sia dalla pendenza del giudizio nel quale la prestazione dell’ausiliare è stata effettuata; e sia dal paradigma procedimentale utilizzato dall’ausiliare al fine di ottenere un provvedimento di condanna al pagamento del compenso spettantegli. Per un verso, perché siffatto regime processuale è indissolubilmente connesso alla natura di credito vantato dal consulente ed alla comunanza della posizione debitoria delle parti suoi confronti. Per altro verso, perché non si individua alcuna ragione per cui siffatta posizione debitoria (che, come s’è detto, è ontologicamente connessa alla natura del credito) debba rimanere travolta e caducata per effetto o della cessazione della pendenza del giudizio nel quale la prestazione è stata effettuata ed è sorto il credito, ovvero dell’utilizzazione da parte del consulente – creditore ed ai fini del riconoscimento del suo diritto, di un rimedio processuale esterno rispetto al giudizio nel quale la prestazione è avvenuta.
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Ottimo.
Sarebbe anche il caso di chiarire il metodo di assegnazione della CTU che a Verona non appare regolamentato così che i Giudici, tutti, assegnano il 90% delle cause ad un gruppo di due o tre CTU e le rimanenti 10% agli altri iscritti all’Albo dei Consulenti quando il Giudice dovrebbe praticare la regola della rotazione. Almeno così ho sempre saputo e così si comportava il precedente Presidente del Tribunale di Verona.